Un gioco con la vita, chi c’è dall’altra parte del gioco? Un Invidioso, cattivo, perché la natura è stata tale con lui. Vendicativo a quale scopo? Il suo regno davvero per una corona?
Con Riccardo III di Corrado D’Elia (vedi il precedente articolo di presentazione) siamo al teatro Litta di Milano ed è Febbraio, ma appena metto piede nella sala siamo proiettati in un video gioco chiaramente analogico, di quelli con il joystick a tubo catodico. Siamo in un epoca moderna per il Riccardo III ma non questa contemporanea fatta di app, realtà virtuale, intelligenza artificiale, no, siamo proprio in un video game di fine anni 80, quasi inizio 90, in cui la scritta iniziale è START GAME, c’è il contatore dei punti e il jingle musicale, anche se prestato dal tetris, ma nel suo contesto accettabile.
A sipario aperto la scena si presenta molto semplice e in chiave moderna, potrebbe essere una ottima proposta a qualche interior design per il prossimo salone del mobile. Luci led con un blu importante scandiscono la prospettiva, quelle bianche il pavimento, un lampadario antico acceso al centro della scena fa da banchettante alla scena ma quello che cattura l’occhio è il ripiano del palco inclinato circa su i 20 gradi, quasi a ricordare alcuni prototipi di mobiletti per video giochi dove lo schermo era montato in basso e tu dovevi guardare in giù per giocarci (ricordate?), insomma un bel esercizio di recitazione per gli attori! Inizia il gioco. Appaiono magicamente figure scandite da un ritmo ben preciso del jingle, sono gli attori, sono le presentazioni dei personaggi, mi viene voglia di sceglierne uno e cliccare start.
Capiamo subito che la messa in scena non prevede azione, stiamo parlando di attori prestati dal teatro di parola con la sola proroga che alle volte devono correre per essere in scena tra il buio/luce dei quadri scenici, altre volte assumere posizioni e movimenti astratti ad eccezione di Tirrel, che può concedersi un po’ più di azione durante la colluttazione con Hastings (o Clarence), quanto basta per capire che è uno che mena e che uccide.
Tutti gli altri erano gestiti e si muovevano solo attraverso questa struttura immaginaria di 7 nodi e 12 linee, un po’ come i vecchi commodor dove potevi fare solo su-giù avanti-indietro, diagonale su-diagonale giù; architettura del movimento.
Si prende confidenza più facilmente con Buckingham, è divertente e reale, rende il tutto meno macchinoso, è nel game ma libero, al punto dal concedersi una pisciatina fuori dalla logica. È l’unico anche che ci ragiona con Riccardo III, un Riccardo che gestisce i suoi protagonisti dall’alto, assente ma onnipresente, esattamente come un bambino che sta giocando al game. L’obiettivo? La corona? Il prezzo? Lo conoscete già. Un Riccardo che lo si immagina bene grazie alla interpretazione di Corrado, in alcuni punti malefico, maledetto, in altri un bambino viziato, capace di desiderare tutto oltre ogni pudore. Un Riccardo molto contemporaneo, uno sgraditissimo coinquilino del mio pianeta.
Corrado osa nella pulitura del testo, ha fatto un riadattamento raggiungendo livelli molto coraggiosi, alcuni personaggi completamente eliminati, alcuni monologhi importanti di Riccardo via, eliminati. Qualcuno, grazie ad uno speciale dibattito consentito dalla compagnia in occasione di una giornata promo per gli allievi delle scuole di teatro, glielo ricorda a fine spettacolo chiedendo che fine abbia fatto il pezzo dove Riccardo si vede più umano, si vuole bene, al punto da desiderare i migliori sarti per il suo vestito, per farsi bello dinnanzi alla sua futura moglie; la risposta arriva in modo educato e diplomatico distribuendo l’attenzione dell’argomento su tutto il lavoro di spolpaggio del testo
Personalmente è mancato l’imprevisto, nessun colpo di scena, nessun avvenimento oltre alla macchina impostata. Forse davvero troppo asettico, eppure il testo offre colpi di scena su piatti d’argento; niente, la regia è ferrea, si fa così come Riccar.., ops, come Corrado vuole!
Donatello Betto Bardi