E’ in scena fino al 26 gennaio sul palco del Teatro San Babila di Milano, la piéce UN GRANDE GRIDO D’AMORE di Josiane Balansko con Barbara De Rossi e Francesco Branchetti, che ne firma pure la regia, e con Isabella Giannone e Simone Lambertini, presentata nel nostro precedente articolo e a cui vi rimandiamo per trama, date, orari e prezzi.
Uno spettacolo nello spettacolo. Una trama nella trama. Due personaggi nella finzione e nella vita reale. Come trovare il filo d’Arianna nel vortice di presente e passato, di emozioni e copione, di bugie e verità?
Le scene si rincorrono tra la dialettica “colorita”, l’urlata recitazione di Hugo Martial (Francesco Branchetti) attore e regista, borioso e pieno di sé e il concitato, a volte vittimistico, ritorno sulla scena di Gigì Ortega (Barbara De Rossi), che maschera il suo disagio (forse le sue paure) dietro un giubbotto paiettato e la disinvoltura fisica.
Il leitmotiv è, solo in apparenza, scontato: il mondo dello spettacolo crea figure di successo, le spinge sulla cresta di un’onda anomala che condiziona la società e le consente di entrare nella vita degli artisti come se fossero porte aperte al pubblico; ma basta poco: i riflettori si spostano…lasciano i famosi e ricercati divi nell’ombra, a volte anche nella miseria.
Gigì Ortega e Hugo Martial, dopo anni di palcoscenico e di sentimenti condivisi, trascorrono anni di separazione, per poi ritrovarsi a interpretare lo spettacolo “Un grande grido d’amore”. Da cosa nasce questo grido? Forse dall’amore di coppia abbandonato e ritrovato? O dall’amore del teatro che ha visto la loro fama svanire o essere il riflesso delle virtù altrui? Certo è che si tratta di un grido di quell’arte che spesso viene repressa dai media e dai gossip!!
I due protagonisti recitano e rivivono i loro trascorsi: lei ex alcolista, con un tentato suicidio per amore alle spalle; lui viscido “sciupafemmine”, trascinato in dialoghi telefonici logorroici, quanto melensi e languidi. Ancora loro, travagliati e irritabili, trasformano la trama a loro piacimento per esaltare in modo indecifrabile amore e odio, tenerezza e viltà, sotto gli occhi di uno stressato regista (Simone Lambertini), incapace di imporsi su due caratteri bivalenti, per la fatica di portare termine una “missione impossibile”.
Collante tra i personaggi è l’agente Silvestre (Isabella Giannone), artefice del ritorno di Gigì sulla scena; donna scaltra, costruita e macchinosa: escogita tranelli a discapito degli attori e del regista, pur di arrivare alla mèta della rappresentazione teatrale. Usa stratagemmi in modo subdolo; pare disinteressata a qualsiasi cosa o persona… sembra… uno sfregio alla sua auto provoca indignazione, rancore, perdita del controllo.
La scenografia non richiede ambientazioni ricercate, perché gli attori costruiscono con i dialoghi la rete d’appoggio di ogni sentimento e commento; accattivante l’ingresso della De Rossi attraverso la platea: eccola Gigì che torna da un “fuori” teatro per far parte ancora di un “dentro” teatro.
La scansione in due atti segna la trasformazione dell’interazione tra Gigì e Hugo: da intolleranza ad alleanza; da acidità a tenerezza; da distacco a partecipazione. Ogni personaggio ha presentato due volti di sé, due modalità di possedere il tempo e il luogo. Questo si nasconde dietro la comicità dei personaggi: la tragedia esistenziale deve rimanere dietro le quinte…
Lo spettacolo deve continuare, deve anche finire… Il pubblico ha partecipato a questa maratona e aspetta di applaudire, cercando quel residuo di trasparenza che fa vivere lo spettacolo come parte di vita.