E’ in scena fino al 2 febbraio al Teatro Franco Parenti di Milano lo spettacolo SKIANTO di Filippo Timi che abbiamo già presentato nel nostro precedente articolo e a cui vi rimandiamo per altre info su trama, cast, orari e prezzi.
LA RECENSIONE
Skianto è davvero uno schianto, inteso come colpo violento contro il muro di gomma dell’ormai storica omertà sociale nei confronti della disabilità, nel senso più lato del temine: handicap fisico, mentale, relazionale, economico, d’integrazione….
Skianto è davvero uno schianto… come quando vedi una bella donna (o uomo), ti giri e osservi la natura cosa sia stata in grado di fare sotto i tuoi occhi disattenti… Sì perché di Filippo Timi ti innamori… non subito, simil colpo di fulmine, ma intanto… intanto che il suo personaggio volteggia nell’aria, sospeso in una realtà che poco gli appartiene e presenta la carrellata amara della sua vita… Intanto che ride beffandosi di ciò che l’ha spezzato… Intanto che cerca e non trova risposte a quelle domande che bussano alla sua porta ogni giorno… che impreca scurrilmente e poi cade
nei termini più dolci mai coniati.
Una palestra (luogo di allenamento e fatica, ma anche di gara e competizione con l’attimo di ogni giorno) accoglie il monologo acuto e drammatico. L’apertura è il racconto della fecondazione che lo ha portato alla vita: è una lotta tra uno spermatozoo scoordinato e un fiume di guerrieri prepotenti per raggiungere e penetrare un “pallino spugnosetto”. Nessuno, neanche i genitori si sarebbero aspettati un bimbo con la “scatola cranica sigillata”, chiuso nella prigione del suo corpo ma anche della sua cameretta. Ma questo bambino, dentro una tutina che ricorda Pinocchio, ha dei sogni e dei desideri, che sono e saranno la sua evasione: essere un cantante, un ballerino, un pattinatore, un attore. Anche un ricovero in ospedale potrà essere un’uscita da quella piccola tana protetta… quanti pensieri e sofferenza e incomprensione e… come vorrebbe portare fuori tutto ciò che dentro si “arrampica” per trovare l’uscita…
Anche il nonno, che ritiene un eroe, è una via di scampo, attraverso i suoi racconti con le “signorine” del paese: allegra versione di un conquistatore rustico e semplice.
L’alternarsi dei fiumi di parole (accompagnate dalla musica e dal canto di Salvatore Langella) con gli stacchetti a sipario chiuso, segna la crescita di un bimbo che guarda un mondo alieno, paradossale, attraverso una lente di ingrandimento: il cartone di Candy Candy, con Anthony e Terence; Heather Parisi, canzonette anni ’80, i gatti nelle versioni più divertenti e infine un testo a tema sulla base di Rapsody dei Queen. Parallelamente i pensieri romantici, i desideri sessuali, gli amori… Quanta voglia di esplodere, ma la realtà implode severamente.
Filippo Timi condensa così: “Ma dentro quel corpo c’è una persona che ha una straordinaria voglia di vivere, piena di sogni e speranze che sono destinate a restare suo patrimonio intimo, inespresso ai suoi genitori che faticano ad accettare la sua diversità, ai parenti e agli amici che gli sorridono con un misto di pietà e di paura.”
La figura dell’unicorno completa la varietà di immagini allegoriche; animale instancabile quando viene cacciato per essere catturato, si prostra a terra quando viene avvicinato da qualcuno con un cuore puro. Così la rappresentazione di Timi, con la forza e la dolcezza coesistenti nella disabilità.
Spettacolo da vedere, ma anche rivedere e ancora… Timi funambolo, eclettico, sfrenato, nel suo dialetto umbro-toscano sa mantenere una leggerezza impensabile visto l’argomento drammatico.