Fakeminismo: un divertente monologo sulle donne viste da un uomo – recensione

Visto al Teatro Martinitt di Milano il 20 dicembre 2021.

Se avessimo assistito insieme a questo spettacolo “Fakeminismo”, ad un altro, altrettanto arrapante “Monologhi della vagina” con Lella Costa, avremmo avuto una panoramica completa, anatomica, fisiologica, funzionale e “comportamentale” delle nostre parti intime, così intime da far quasi fatica a riconoscerle nelle vesti di protagonisti eccentrici e scalpitanti, come presentati dall’intrepido Daniele Fabbri.

Del resto, il titolo include Fake, un falso intendere…

Non è solo ciò che appare: molti libri si aprono in un monologo acceso ed effervescente: discriminazione, femminicidio, violazione di genere e di tipo, masturbazione e cecità (vecchio retaggio di una condanna a priori). Niente è più allusivamente inquietante del vociare vizioso di un patriarcato che insiste sulla virilità a tutti i costi, espressa in simbologie falliche che fanno scivolare i neuroni (funzionanti e non) sotto la cintura dei pantaloni.

Contatti graziosi e concordati come sinapsi neurali esplodono sotto l’azione di un richiamo ancestrale all’atto sessuale, come strumento di conoscenza, di conversazione o, addirittura come consolazione “spermatica” etero/omosessuale al posto di un organetto di parole, di un abbraccio, di una “pacca” sulla spalla o di un vasetto di nutella.

Dimensioni e modalità d’uso trasformano un nano in un gigante, spalleggiato da un nonnismo lontano, capace di influenzare il bambino che gioca a pallone e comincia a guardarsi attorno, il ragazzo interessato a scoprirsi e a scoprire e l’uomo che cerca nuove realtà stimolanti. Il pensiero del sesso supera il posto del calcio e della frenesia tifosa; le curve dello stadio sono sostituite da quelle “curve” che fanno girare la testa… guai se non le noti e commenti, non sei un uomo… così? No, non basta!

Esasperato e prolungato il continuo pensiero; fisso, assatanato e intrattenibile. Porta in terra Gesù e Dio, cercando di umanizzarli per giustificazione o paura del giudizio.

Le parole veloci hanno bussato a tante porte, ma dietro a ognuna esiste una sola risposta/non risposta: l’amplesso riprodotto in chiave quasi animale.

L’urlo delle femministe “Il corpo è mio” scappa davanti a un martellante invito a superare i legami, i retaggi di sentimenti e corteggiamenti.

Ottima la scelta del “vietato ai minori di 16 anni”, sia per il linguaggio, che per i riferimenti capaci di influenzare una gioventù già inquieta.