Al Teatro Manzoni si ride e si riflette con ‘Mine Vaganti’

Ferzan Ozpetek firma la sua prima regia teatrale mettendo in scena l’adattamento di uno dei suoi pluripremiati capolavori cinematografici, Mine vaganti, attualmente in scena  sul palco del Teatro Manzoni di Milano, dove ha debuttato lo scorso 8 marzo e replicherà fino al 20 marzo 2022 per dare vita a due ore di spettacolo che non vi deluderà e certamente è la conferma di una sfida vinta.

Al centro della vicenda una famiglia, proprietaria di un pastificio in un piccolo paese del sud, con le sue radicate tradizioni culturali alto borghesi e un padre desideroso di lasciare in eredità l’azienda ai figli.

Tutto precipita quando il figlio Antonio si dichiara omosessuale, battendo sul tempo il secondogenito Tommaso, tornato da Roma per raccontare anch’egli la sua verità. Una favola dolce-amara che lascia intatto lo spirito essenzialmente intrigante, attraente e al contempo umoristico della pellicola e in cui il pubblico è chiamato ad interagire con gli attori, che spesso, recitano in platea come se fossero nella piazza del paese. Una prospettiva che si realizza con un eccellente cast corale.

Ferzan Ozpetek, per partire alla grande nell’arte dell’ora, ha scelto interpreti di qualità come Francesco Pannofino, Iaia Forte, Erasmo Genzini, Carmine Recano, Simona Marchini, Roberta Astuti, Sarah Falanga, Mimma Lovoi, Francesco Maggi, Luca Pantini e Edoardo Purgatori.

Dalla cura tecnica si evince che anche il reparto meno visibile è di ottima caratura, la cura delle scene affidata a Luigi Ferrigno, costumi di Alessandro Lai e ai dettagli tecnici e le luci a Pasquale Mari.

L’Ingresso a “schiaffo” sorprendente, con una prima presentazione profonda e con pathos e, con l’inizio dello spettacolo, prende piede un filo conduttore che ti aspetti solo se hai visto il film, infatti con l’apertura del sipario si accende il primo spartiacque della trama che immediatamente getta lo spettatore in una partecipata visione dello show. Questo grazie ad un’attenta costruzione dei personaggi ed un’oggettistica curata nei minimi dettagli.

Vengono esaltati gli stereotipi classici dell’italianità: la nonna, la zia ubbriacona, la mamma premurosa, il fratello in carriera, la sorella aristocratica In pochi minuti si è evidenziato uno spaccato fortissimo della resistenza alla comprensione del l’omosessualità da parte della famiglia. Evidenziato egregiamente ed esasperato anche il rapporto della famiglia perché il comportamento della stessa si condiziona alle impressioni della gente e della vergogna che si può provare se si venisse a sapere in giro della diversità di preferenza sessuale di uno dei componenti della famiglia.

Sono tante le scene bene interpretate, ad esempio la scena di forte effetto tra i fratelli, altro colpo di coda dello spettacolo è la scena della cena, con gli equivoci e le comiche scenate per nascondere l’omosessualità degli amici del protagonista che dovevano camuffarsi agli occhi della famiglia e molte altre, con un susseguirsi di piacevoli ed inaspettate entrate di scena da tutte le parti possibili, sul funzionale palco del teatro meneghino.

Ma la cosa che evidenzia questa trama è che la stupidità può essere inconsapevolmente più pericolosa di quello che ci si può immaginare, le mine vaganti, investigano e destabilizzano. La nonna, la voce della coscienza e nella scrittura del testamento, mette in calce quello che durante la sua vita, diceva e professava in armonia con tutti e con tutto.

La figura della nonna, importantissima nella vita di chiunque, fa da voce coscienziosa e regala perle testuali come: “ … I signori si svegliano dopo degli operai ma lavorano più di loro, certamente però si svegliano prima degli scansafatiche … “. Nonna interpretata da una bravissima Simona Marchini, con una padronanza scenica meravigliosa ed una voce stupenda.

Mi soffermerei a riflettere su una delle tante belle battute sceneggiate per il ruolo della nonna: “… La normalità, che brutta parola questa!”. Allora ci si chiede dove sta la normalità, forse è nell’accettare che siamo tutti splendidamente diversi l’uni dagl’altri? Forse, è proprio detestando l’omologazione e dando voce al nostro carattere che tutti staremmo meglio con noi stessi e con il prossimo.

Mine Vaganti, film di Ferzan Ozpetek, uscito nelle sale il 12 Marzo 2010, ora prende una cosciente forma teatrale con un cast che, in piena sintonia e ritmo, anche se privo delle tecniche cinematografiche che spesso facilitano il lavoro dell’attore, riesce a trasmettere con un’incisiva forza gli stessi messaggi che il regista e sceneggiatore turco aveva pensato per il film. Film che allora vide nel cast attori del calibro di: Riccardo Scamarcio, Nicole Grimaudo, Alessandro Preziosi, Carolina Crescentini, Daniele Pecci, Elena Sofia Ricci, Ennio Fantastichini, Lunetta Savino, Ilaria Occhini, Carmine Recano, Paola Minaccioni, Gianluca De Marchi, Giorgio Marchesi, Massimiliano Gallo, Matteo Taranto, Emanuela Gabrieli, Bianca Nappi.

Si, voglio citarli tutti, per il semplice motivo che se qualche dubbio permane ancora sugli argomenti sviscerati nell’opera, dobbiamo farci delle domande:
Perché dal 2010 ad oggi non è cambiato poi così tanto? Perché alcuni argomenti ma, soprattutto, incomprensibili comportamenti quali bullismo verso l’omosessualità, la difficoltà nell’accettare un figlio/a gay o lesbica, l’ossessione nel vivere in condizione di quello che può pensare la gente, l’esigenza nel doversi riparare nel silenzio per mantenere la sessualità nascosta; si, tutti questi argomenti sono purtroppo attuali e spesso sfociano addirittura in lite, separazione o ancora peggio in violenza.

L’arte educa, in e con Mine Vaganti ci ha pensato Ozpetek, ma noi?
Davvero non riusciamo proprio a cambiare e a dare una sterzata alle nostre abitudini?

Dal 2010 al 2021 il conto degli anni è semplice ma, quello che stanno facendo gli attori sul palco del Manzoni, non è un gioco, è continuare a trasmettere un messaggio che stenta ad attecchire in maniera omogenea in una società che dice, e dice solamente ma che spesso, fa e pensa in maniera totalmente opposta.

Se si dice che la famiglia e i genitori in particolare sono le uniche persone di cui ci si può fidare veramente, perché è proprio a loro che non si può confessare la propria sessualità?

Ricordiamoci sempre che l’amore è libertà.