SIEDE LA TERRA
FENOMENOLOGIA DELLA PETTEGOLA
Drammaturgia Francesco d’Amore e Luciana Maniaci
con Francesco d’Amore e Luciana Maniaci
Regia di Francesco d’Amore e Luciana Maniaci
Scene e costumi Francesca Marsella
Luci Alex Nesti
Si ringraziano Tommaso Bianco e Maurizio Sguotti
Produzione MANIACI D’AMORE / Kronoteatro
Con il sostegno di Elsinor Centro di Produzione TeatraleSpettacolo inserito in abbonamento Invito a Teatro
Dal 29 marzo al 3 aprile è in scena al Teatro Fontana di Milano, la prima milanese, lo spettacolo “Siede la terra. Fenomenologia della pettegola”, con I Maniaci d’Amore.
Lo spettacolo ha debuttato al Festival Terreni Creativi 2020 e affronta con ironia i meccanismi velenosi e distruttivi dei piccoli paesi.
LO SPETTACOLO
Un chiacchiericcio, un brusio di sottofondo apre la porta dell’immaginario paese di Sciazzusazzu di Sopra, i cui abitanti sono “sicuramente” di un livello superiore rispetto a coloro che vivono nell’omonimo paese, ma di Sotto. Meglio evitare matrimoni “misti”, per una sorta di selezione della razza.
Nulla scampa all’osservazione impietosa di chi in questa piccola realtà ha trovato la propria posizione sociale. Ecco 2 sdraio, sistemate su un palcoscenico essenziale, con un muro sul fondo e 2 donne, la madre Clarice (Francesco d’Amore) e la figlia Teresa (Luciana Maniaci) in gravidanza. Vivono nello stesso piccolo mondo, ma, già guardandole, esprimono 2 stati completamente diversi: la madre, nel suo impeccabile tailleur, gamba lunga, postura costruita per salvare sempre un’apparenza di superba dignità. Lei, abbandonata dal padre della ragazza, ha trovato la sua forza nel “dominare” le voci di un popolo con troppi occhi e troppe bocche. Teresa, nel suo abitino cortissimo, nel suo sedersi a gambe divaricate, sfida, almeno sul piano tecnologico il colosso relazionale di sua mamma. Appare incerta e vulnerabile, manipolabile da Clarice… Sa raccontare storie private, sussurrando in un microfono altisonante (stesso meccanismo del pettegolezzo, vocina nell’orecchio che diventa urlo passaparola); nasconde un grande desiderio: crescere il bambino in arrivo, altrove, in una realtà comunitaria, dove tutto potrebbe essere cambiato, anche il nome.
LA RECENSIONE
Grottesca rappresentazione della differenza generazionale, ma anche di un malessere interiore tra dove si è e dove si vorrebbe essere; tra vivere dentro e fuori da sé.
Quel muro di fondo si tinge di una scritta accusatoria nei confronti di una tal Teresa… sarà lei? Affermativo!
Clarice non lascia nulla alla libera interpretazione del pettegolezzo che non perdona; sposta l’attenzione su qualcun altro con quel nome, sapendo di difendere la figlia e di proteggerla da una etichetta dal giudizio troppo pesante. E’ qui la fenomenologia della pettegola, riportata nel titolo dell’opera: è quell’arte di millantare, stravolgere la realtà, deviare i sospetti e fare le “giuste” telefonate.
Un ruolo conclusivo è giocato dal figlio del macellaio, promesso sposo per Teresa: piccola dote economica e programma intessuto dalla madre di lei e dal padre di lui… inaccettabile! La coppia sogna: un nuovo nome per lui, che non contenga il termine “junior” (dopo e sotto l’autorità del padre senior) la libertà di pensiero, il distacco dai confini geografici e familiari per entrambi. Potrebbe servire da padre al piccolo di Teresa, ma non è un ruolo così importante; sarà la famiglia allargata a creare un nuovo mondo attorno a lui.
Una regia impeccabile (sempre di D’amore e Maniaci), dalla scelta delle azioni, ai binomi linguistici, scanditi da una spiccata inflessione dialettale, agli spostamenti sul palco, calcolati nel caso di Clarice, goffi per Teresa. I balli (o quasi), a volte liberatori, altre volte sensuali, rivelano la doppia interazione tra soggetto e famiglia e tra soggetto e società.
L’immediatezza dell’abbigliamento (grazie a Francesca Marsella) agisce da interprete dei ruoli. Tailleur contro abitino: 1 a 0 per Clarice, organizzata, puntuale, inflessibile. Modellatori (o body intimi che dir si voglia) per le donne, mutande per il figlio del macellaio: messa a nudo delle loro vite, della trattenuta madre, depositaria di antichi segreti personali e dei ragazzi, sottomessi a 360 gradi ai genitori e al piccolo mondo paesano, ma solo in apparenza. Hanno un castello dentro il cuore, un rifugio sicuro, che sembra così
lontano ma a 18 ipotetici minuti di volo da Sciazzusazzu di Sopra. Anche i diecimila euro o poco più sembrano un tesoretto, ma potrebbero bastare solo per il viaggio in taxi fino all’aeroporto, in compagnia dei 2 maiali, maschio e femmina, che il ragazzo vorrebbe portare nel “nuovo mondo” perché potessero fare famiglia, invece di andare al macello (questa scelta parla da sola!)
Vivace rappresentazione, spesso comica di disagi sociali. Profonde riflessioni su un mondo fatto di relazioni, giuste e sbagliate, di rapporti conflittuali o imperdibili.
Spettacolo di breve durata: un concentrato di motivi per valutare e per ripensare. Da vedere e da condividere.