Gianfranco Jannuzzo, al mezzogiorno dei suoi sessantasette anni, appare in forma smagliante al Palazzo Cutore di Aci Bonaccorsi.
Su quel palco l’attore ha portato in scena la commedia “Siciliano per caso?”, scritta insieme ai due co-autori D’Alessandro e Lolli, che ha riscosso, nel corso degli anni, un buon successo in tutta Italia.
Lo spettacolo racconta le disavventure del povero, in tutti i sensi, Giovannino Patarizzuti, membro di una numerosissima famiglia siciliana, che si vedrà costretto a vagare in giro per l’Italia alla ricerca di fortuna. Le vicende partono però dal fittizio borgo di Saponara Marittima, che Jannuzzo identifica come Agrigento, sua città natale, a cui l’attore ha dedicato un libro fotografico dal titolo “Gente mia”, che racconta, rigorosamente in bianco e nero, il centro storico di quella che fu anche la città del grande Luigi Pirandello; alcuni di questi scatti fungono da sfondo durante la messa in scena dello spettacolo.
“Siciliano per caso?” è una commedia tanto basata sul luogo comune quanto vogliosa di esorcizzare certi preconcetti che ancora esistono, seppur in maniera meno eclatante, in tutta Italia. Sono numerose ed eterogenee le differenze, le contraddizioni e i compromessi a cui Jannuzzo dà vita saltando da un’inflessione all’altra e facendo ridere di gusto. Quello di Giovannino è un viaggio della speranza che lo mette di fronte a diverse realtà, facendogli vivere scene tragicomiche, tra un panino troppo piccante in Calabria e un suocero antimeridionale che prova a renderlo “più settentrionale”; in particolar modo, riguardo la Sicilia, vengono raccontati tanti dettagli più o meno grotteschi legati alle radici del folclore siculo, a cui Jannuzzo si sente romanticamente legato.
Sceso dal palco, Gianfranco Jannuzzo non ci tiene a prendersi troppo sul serio; è un uomo che ha conservato una smisurata dose di umiltà e che, ancora oggi, dopo tanti anni di onorate fatiche, si sente un privilegiato nel praticare la nobile arte della recitazione e non manca di sottolinearlo. Il termine “carriera” non gli piace, sembra sottintendere un professionista senza scrupoli, uno di quelli che farebbe buon viso a cattivo gioco pur di raggiungere i suoi obiettivi, cosa che lui non ha mai voluto essere.
Sin dal suo trasferimento a Roma, all’età di dodici anni, cui seguiranno gli studi al Laboratorio di Esercitazioni Sceniche diretto da Gigi Proietti, ha capito che la “trasparenza” sarebbe stata sua alleata; “se non sei trasparente sul palco il pubblico se ne accorge”, dichiara l’attore agrigentino, “non mi hanno mai fischiato, fortunatamente”. L’amore per l’intrattenimento sembrava averlo nel DNA sin da bambino; “all’età di cinque anni, mi trovavo a Lugano, c’era un’orchestra che suonava e chiesi loro se avrei potuto cantare una canzone per i miei genitori”; amore che, nel corso degli anni, non poteva far altro che crescere a dismisura; “credo che per noi siciliani ci sia un’esigenza nell’essere al centro dell’attenzione, ma non fine a se stessa, bensì per far stare bene gli altri”, continua Jannuzzo, “non tanto perché è gratificante ma perché è bello che le persone vicine a me si divertano, si sentano a proprio agio”.
Infine, quando viene interpellato sull’argomento “felicità”, la definisce un’emozione legata al momento in cui la si prova; “felicità è una parola un po’ cretina anche se non dovremmo mai vergognarci di rincorrerla”, dice Jannuzzo, “è la ricerca di ciò che si sa fare molto bene, è un’armonia, è la propria vocazione”; “se hai del talento e non lo coltivi sei un’imbecille. Se invece possiedi del talento e hai la fortuna, la costanza, la serietà per coltivarlo, allora si va avanti come dovrebbe accadere”; “le rarissime volte che non sono così critico con me e vedo che il pubblico è contento di ciò che ho fatto, mi sento moderatamente soddisfatto: c’è sempre qualcosa che avrei potuto fare diversamente. È una piccola molla per fare sempre meglio, per trovare nuovi stimoli”.
Grazie a Gianfranco Jannuzzo, da parte della redazione Weblombardia per averci accolto nel suo camerino per una chiacchierata e al direttore del Teatro Stabile di Acireale dr. Rosario Madaudo per aver permesso che questo avvenisse.