Milena Vukotic incanta con il monologo su Emilie du Châtelet al Franco Parenti – recensione

E’ in scena dal 28 gennaio al Teatro Franco Parenti di Milano lo spettacolo “Milena, ovvero Emilie du Châtelet”, un viaggio teatrale intenso e raffinato. Sotto la regia di Maurizio Nichetti, Milena Vukotic presta anima e voce a una delle figure femminili più affascinanti della storia: Emilie du Châtelet, scienziata visionaria, donna libera e anticonformista, che ha sfidato le convenzioni del suo tempo con intelligenza e passione. Repliche fino al 9 febbraio 2025 in la Sala Blu.

Altre info sullo spettacolo, date orari e prezzi sul nostro articolo di presentazione.

RECENSIONE
Milena è pronta! Esce dal camerino, rifiutando l’abito di scena, adatto a una qualunque donna della nobiltà parigina del ‘700, elegante e socialmente impostata… ma non per lei, per Emilie!!

Lei è una donna fuori dal suo tempo; è stata educata e cresciuta dagli stessi precettori dei suoi fratelli maschi e quindi dimostra, fin dalla giovane età, i suoi interessi per il mondo della scienza e  della letteratura. Si sposa a 19 anni con un soldato, il Marchese Florent Claude du Chatelet, più grande di lei d’età, così da non averlo spesso a casa.


Malgrado ciò, ebbe con lui 3 figli e frequentò la corte di Versaille. E’ una donna che non vuole essere vincolata ai salotti parigini per mostrare pizzi e merletti alle signore;  vuole raggiungere quei centri culturali riservati agli uomini e non si arrenderà neanche quando verrà allontanata in modo sgarbato, per poi ripresentarsi in abiti maschili, con tanto di spada.

Certo! Non erano solo gli abiti a “fare il monaco” … Emilie, per conquistare uno spazio di confronto scientifico all’interno del clan maschilista, sfida a duello un aristocratico snob: entrambi vincenti, a pari merito, per stanchezza ed esaurimento delle forze. Emilie, anche in questo caso, si appella alla fisica: con un calcolo matematico di geometria analitica, vede le spade come rette parallele che si muovono nello spazio e in un tempo.

Con la regia precisa e puntuale di Maurizio Nichetti, inizia lo scambio di ruoli: Milena recita (così è limitante… toglie i confini alle parole e le destreggia su un palco a lei riservato), presenta Emilie; con lei interagisce, per poi lasciare solo a lei il racconto della sua vita. Emilie e Milena leggono la storia di Emilie stessa, scienziata, donna, moglie, amante. Sì, pare che in quel tempo (XVIII secolo), le donne potessero avere solo un amante, mentre i mariti, potessero averne diverse.

Lei conosce Voltaire, dopo aver cercato spesso di incontrarlo; si legano in un rapporto d’amore, di intimità, vissuta in modo vivace (“L’amore fatto ridendo è un’altra cosa” … così sostiene Emilie), di scienza, di momenti di separazione e di grande condivisione. Così vivranno per anni insieme nel castello di Cireau, di proprietà del marito di Emilie, fatiscente all’inizio, richiamo per scienziati, letterati e artisti dopo la ristrutturazione eseguita a spese di Voltaire. Castello che sarà anche riparo per lo stesso, perseguitato a motivo di alcune sue affermazioni.

Emilie legge la sua memoria… esce dalla lettura e partecipa i sui stati d’animo; esce da un racconto articolato e si lascia andare, veicolando quel pesante carico di lotta per abbattere il muro della scienza riservata agli uomini e per sconfiggere i limiti posti da un mondo incapace di creare spazi di scoperta al femminile.


Lei che ha tradotto non solo la lingua, ma anche i pensieri scientifici di Newton,
che ha posto le basi sui principi della relatività, lei che non si è accontentata di rimanere nelle fila della tifoserie destinata alle scoperte altrui, merita un alto riconoscimento come fisica, matematica e linguista. E Milena Vukotic cattura la sua essenza e la fa esplodere davanti a un pubblico che ha appena ripreso fiato dopo averla vista sul palcoscenico di “Così è, se vi pare”… Emilie nelle sue scoperte, Milena nelle sua versatilità portano a riflettere sulle capacità e sul calcolo delle probabilità rivolte alle donne.

E’ un monologo è vero! Ma questa voce porta con sé tutti coloro che hanno gravitato attorno a lei, a loro, Emilie e Milena, unite con quel filo di solidarietà fatta di personalità e di racconto. A volte, solo l’abito (attuale per Milena, con un soprabito e un cappello settecenteschi per Emilie – grazie a Fiorenzo Niccoli) separano le due donne, per ritrovarle allineate e certe del percorso : “Non dobbiamo lasciare che la ragione distrugga i nostri sogni”.

Il desiderio di muoversi senza legami e la sua indolente anarchia, la porterà a una relazione con un giovane scienziato, dal quale aspetterà una figlia, che morirà in pochi giorni e vedrà anche la morte della scienziata passionale e appassionata fino alla fine, con i testi di Newton tra le mani.

Voltaire, che non smetterà mai di sentirla parte di sé, scriverà: “Quella notte l’ho persa guardando il cielo che abbiamo guardato; ora vedo solo una stella… sei tu! Non ho perduto un’amante, ma la metà di me stesso. Un’anima per la quale sembrava fatta la mia”

E l’abito da donna del ‘700 rimane lì in fondo, appeso, quale spauracchio del mondo femminile, al quale Emilie non poté mai appartenere. Milena lo sa: indossa e subito sfila, all’inizio del racconto, la sottogonna a forma di gabbia, quasi a demonizzare quel simbolo di chiusura che ha provato a trattenere colei che è scappata, tramite la scienza e il sapere.

Spettacolo che, a pieno titolo rientra tra gli “IMPERDIBILI”