Ha debuttato lo scorso 18 febbraio al Teatro Manzoni di Milano “L’Avaro” di Molière, nella nuova traduzione e adattamento di Letizia Russo, con la regia di Luigi Saravo e protagonista assoluto Ugo Dighero. Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Nazionale di Genova insieme ad a.ArtistiAssociati, Centro di produzione teatrale, Teatro Stabile di Bolzano e Centro Teatrale Bresciano, offre una rilettura moderna e dinamica del capolavoro classico.
Altre info sullo spettacolo, date orari e prezzi, nel nostro articolo di presentazione.
Chi si aspetta una rappresentazione fedele al testo originale, con costumi del ‘700 e un linguaggio aulico, dovrà ricredersi. L’operazione di ammodernamento compiuta da Saravo e Russo si rivela vincente, ponendo lo spettatore di fronte a una messinscena sorprendente sin dalla prima apertura del sipario: due giovani in abiti moderni sono immersi in una turbolenta passione, ma presto vengono interrotti da un terzo incomodo. l’impostazione iniziale spiazza e per qualche secondo si viene assaliti dal dubbio se per caso non si sia sbagliato spettacolo, ma man mano che la trama si dipana, emergono i nomi familiari della commedia molièriana: Arpagone, Cleante, Frosina, Marianna e gli altri.
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Trasporre un classico nella contemporaneità è sempre una sfida rischiosa: il timore è quello di snaturare l’opera o di non renderle giustizia. Tuttavia, in questo caso l’esperimento riesce: il testo rimane fedele nella sostanza, pur guadagnando freschezza ed energia grazie a un linguaggio più vicino alla sensibilità moderna. Il ritmo serrato della messinscena tiene il pubblico costantemente attento e coinvolto.
L’adattamento mette in primo piano il dualismo tra l’ossessione per il denaro di Arpagone e il consumismo sfrenato degli altri personaggi. La morale molièriana, dunque, non viene tradita, bensì aggiornata per riflettere il rapporto contemporaneo con il denaro: se da un lato Arpagone si priva di tutto pur di accumulare ricchezze, dall’altro i suoi familiari e servitori rimangono al suo fianco più per interesse che per affetto sincero.
Il successo della messinscena passa inevitabilmente per la performance del suo protagonista, Ugo Dighero. Il suo Arpagone è un concentrato di tic, manie, paure e schemi mentali che lo rendono una figura tragicomica assolutamente credibile. Dighero sfrutta al meglio la propria esperienza e presenza scenica per dare vita a un personaggio iperbolico ma umano, rendendo coinvolgente ogni sua battuta e gesto.
Il resto del cast non è da meno: particolarmente apprezzata la doppia interpretazione di Mariangeles Torres nei ruoli di Freccia e Frosina, due figure chiave nella dinamica narrativa. Fabio Barone e Paolo Li Volsi brillano nei loro ruoli, così come Stefano Dilauro e Carolina Leporatti nei panni dei figli di Arpagone. Cristian Giammarini si distingue nel ruolo del faccendiere, contribuendo a mantenere alto il livello della recitazione.
REGIA – SCENOGRAFIA E COREOGRAFIA
Luigi Saravo dimostra di avere una visione chiara e coerente, scegliendo di puntare tutto sulla bravura degli attori e su un perfetto bilanciamento tra scenografia, coreografia ed effetti visivi. Le scenografie di Lorenzo Russo Rainaldi, minimaliste ma efficaci, presentano vetrine mobili illuminate, simbolo del possesso e dell’accumulo sfrenato di beni materiali. Il denaro, sempre evocato, appare fisicamente solo nel finale, enfatizzando il messaggio morale della commedia.
La scelta del cast non è stata casuale per il regista che, per una buona riuscita, ha cercato degli attori “promiscui”, cioè capaci di interpretare al meglio il personaggio sia con la recitazione che con la caratterizzazione, allo scopo di dare una struttura solida alla messa in scena e farla funzionare ad hoc.
Il tutto scorre nel migliore dei modi e si realizza il tanto agognato “qui ed ora”, grazie alla capacità degli attori di seguire attentamente quello che realmente succede sulla scena, senza preoccuparsi troppo di interpretare al meglio un ruolo, ma riprodurre i meccanismi della vita reale.
La regia ha usato bene l’unica arma per tenere lo spettatore inchiodato alla poltrona puntando sulla bravura degli attori, nel bilanciare sapientenente, scenografia, coregrafia ed effetti “speciali” che vengono usati e che scoprirete vedendo lo spettacolo. Può dunque capitare che una replica possa risultare diversa dalla precedente.
Le musiche originali di Paolo Silvestri accompagnano le scene con un perfetto mix di celebrazione e denuncia dell’ossessione per la ricchezza, mentre le coreografie di Claudia Monti contribuiscono a dare dinamicità alla rappresentazione. Le luci di Aldo Mantovani, sapientemente utilizzate, sottolineano il contrasto tra il consumismo sfrenato e l’ossessivo attaccamento ai beni materiali.
IL FINALE
Uno dei momenti più riusciti dello spettacolo è senza dubbio il monologo del furto, in cui Dighero raggiunge un’intensità scenica straordinaria, ben supportato dal cast.
Esilaranti le gag basate sui doppi-sensi e poi arriva la conclusione che ribalta ogni prospettiva morale: mentre Arpagone si dispera per il furto del suo tesoro, gli altri personaggi, i quali fino a quel momento avevano ostentato nobili sentimenti, si gettano avidamente sulle banconote sparse per la scena. Alla fine, il messaggio è chiaro: Arpagone non è l’unico avaro, bensì il più sincero nel mostrare la propria ossessione per il denaro.
Il pubblico gradisce la rappresentazione e, a fine spettacolo, applaude a lungo l’intero cast schierato su proscenio, che con gratitudine ringraziano.
“L’Avaro” diretto da Luigi Saravo si conferma un esperimento riuscito, capace di rendere il classico di Molière attuale e accessibile senza tradirne lo spirito originale. La performance di Ugo Dighero, il cast affiatato, la regia incisiva e una scenografia studiata nei minimi dettagli fanno di questo spettacolo un’esperienza teatrale coinvolgente e stimolante. Un’operazione che dimostra come anche i classici possano essere rivisitati con intelligenza e senza perdere la loro essenza.
Sebastiano Di Mauro nasce ad Acireale (CT) nel 1954 dove ha vissuto fino a circa 18 anni. Dopo si trasferisce, per brevi periodi, prima a Roma, poi a Piacenza e infine a Milano dove vive, ininterrottamente dal 1974. Ha lavorato per lunghi anni alle dipendenze dello Stato. Nel 2006, per strane coincidenze, decide di dedicarsi al giornalismo online occupandosi prima di una redazione a Como e successivamente a Milano e Genova, coordinando diverse redazioni nazionali. Attualmente ha l’incarico di caporedattore di questa testata e coordina anche le altre testate del Gruppo MWG e i vari collaboratori sul territorio nazionale.