Il 27 maggio 2021 Giancarlo Nanni avrebbe compiuto 80 anni, il teatro Vascello vuole festeggiare questa ricorrenza regalando a tutti gli spettatori la visione dello spettacolo “Il giardino dei ciliegi” di Anton Cechov regia Giancarlo Nanni. Qui si propone la versione registrata nel 2006 sempre al Teatro Vascello.
Lo spettacolo sarà visionabile dal sito www.teatrovascello.it per l’intera giornata del 27 maggio.
IL GIARDINO DEI CILIEGI
di Anton Cechov
Personaggi e interpreti
Liuba Andreevna, possidente Manuela Kustermann
Ania, sua figlia Astra Lanz
Varia, sua figlia adottiva Sara Borsarelli
Leonid Gaev, fratello di Liuba Paolo Lorimer
Ermolaj Lopachin mercante Pietro Bontempo
Piotr Trofimov, studente Sandro Palmieri
Piscik possidente Massimo Fedele
Charlotte governante Tatiana Winteler
Epichodov contabile Andrea Dugoni
Dunjasa cameriera Francesca Fava/ dal 25.4 Gaia Benassi
Firs cameriere Felice Leveratto
Jasa cameriere Marco Petri
Un viandante Andrea Dugoni
Regia di Giancarlo Nanni
Scene e costumi Giancarlo Nanni, Chiara Paramatti, Sara Bianchi – Luci Valerio Geroldi – Video Aqua Micans Suono Francesco Milizia – Assistente alla regia Gaia Benassi – Direttore di scena Daniela Gusmano – Macchinista Danilo Rosati – Laboratorio Scenografico Leonardo LaVitola, Alessia D’Aversa. Giorgia Mescini
una produzione La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello
Dopo Il Gabbiano Manuela Kustermann e Giancarlo Nanni affrontano nuovamente il grande Cechov con la messa in scena del suo dramma più bello e struggente, ma anche più attuale. Il tema del testo è infatti quello della distruzione della natura e della bellezza da parte di un capitalismo arrogante e prepotente, che allora era agli inizi, ma che continua sempre peggio.
Il vecchio giardino dell’aristocratica possidente Liuba Andreevna, che ogni anno fiorisce di meravigliosi fiori bianchi, è ipotecato e né lei né la famiglia è capace di fare qualcosa. Sarà acquistato da Lopachin, un ex servo della gleba arricchito, che lo abbatterà per costruirci delle villette per accontentare le smanie di villeggiatura dei nuovi ricchi.
Il vecchio mondo dei proprietari terrieri, abituati all’agiatezza ed allo sperpero, ma incapaci di gestire i propri affari, rappresenta una classe sociale il cui ruolo storico si è esaurito. È sostituito dalla classe degli affaristi, personaggi quanto mai attuali.
La stesura di questo capolavoro costò a Cechov tre anni di lavoro e fu terminata alla fine del 1904, a meno di un anno dalla sua morte. E fu in questi anni che le sue convinzioni ideologiche si rafforzano, come dimostrano le sue posizioni sull’affare Dreyfus, le dimissioni dal giornale reazionario “Tempo nuovo” e dall’Accademia delle Arti per solidarietà con Gorki, che ne era stato espulso.
Cechov morì di tisi nel 1905 mentre sulla Russia soffiavano già i venti della rivoluzione che di lì a pochi anni avrebbe cancellato sia i proprietari terrieri che i nuovi ricchi.
Note di regia
“…abbiamo iniziato con dei malintesi e cosi finiremo…mi sembra questo il destino di questa pièce…” Anton Cechov 26 nov.1903
Così questo parto lunghissimo della commedia di Cechov prende vita nella nostra scena e il paragone con la nostra situazione attuale, del nostro teatro Vascello, voglio dire mi pare immediato.
Certo questa famiglia aristocratica, (ma già meticcia: la nobildonna Liuba che sposa un avvocato dissipatore, che ha un amante, che infrange le regole, che scappa dal dolore per il figlio annegato, ma che incontra nuovo dolore a Parigi) non sa adattarsi al cambiamento, alle nuove regole; e così tutti gli altri componenti di questa famiglia alla deriva, che dipendono da Lei, da ciò che Lei rappresenta.
Ma il nuovo mondo del figlio della plebe Lopachin, non l’affascina, non la convince, “è volgare “.
E il giovane, l’eterno giovane Trofimov, conferma questa distanza tra due mondi, ne preannuncia un terzo, utopistico, sognato, un mondo dove non ci siano più diseredati, dove ci siano asili nido, case per gli operai e per i poveri, assistenza e solidarietà, che ancora oggi qui in Italia, simile alla Russia di cento anni fa, ancora non esistono o non sono abbastanza, dove ancora immigrati dormono in 40 in una stanza, dove non c’è pietà e solidarietà, ma egoismo e corruzione.
Ma in questo testo si parla anche spesso di sogni: tutti sognano, ma non sanno trasformare i sogni in realtà. Ci sono in questo testo solitudini clownesche, egoismi e orgoglio a dismisura. Tutti sono posseduti da un “orgoglio mistico” che non si svela, ma che li racchiude in bozzoli mai esplosi in farfalle. Come dice il poetico Ripellino: “qui è presente il rombo del vuoto, la cavernosa risonanza del destino”.
Commedia di esistenze di tutti i giorni: Cechov ci introduce nel nulla delle nostre esistenze, ma riscattate dalla sofferenza, dal vago e indeciso sogno verso il futuro. La speranza che, dopo aver tutto perduto, tutto si ritrova nel cambiamento, ci aiuta a sopportare il nostro destino. A noi la vita potrà togliere tutto, ma non potrà togliere la libertà di inventare il futuro. Lo spazio desertico del nostro palcoscenico viene occupato da fantasmi, da miraggi, da pitture che rievocano atmosfere dell’arte del ‘900, fatte con nulla, con la carta, il materiale su cui gli artisti scrivono i loro sogni o dipingono le loro meravigliose illusioni, a dimostrazione che esistono SOGNI CHE IL DENARO NON POTRA’ MAI COMPRARE.
Giancarlo Nanni
GIANCARLO NANNI
1941-2010
Nato a Rodi, il 27/5/1941, durante la guerra la sua famiglia viene trasferita in un campo profughi a Venezia, alla fine del conflitto mondiale dopo un breve periodo di permanenza in Arabia Saudita si stabiliscono definitivamente a Roma, dopo il diploma decide di seguire il suo interesse verso la pittura e la musica che animava già in sé dall’età di 15 anni.
Si avvicinò al free jazz, suonando la cornetta, e soprattutto si dedicò alla pittura, affiliandosi principalmente alla scuola di Mario Schifano e Cy Twombly. Già amante dell’arte di Jackson Pollock, conosciuta a 17 anni, era molto influenzato dalle avanguardie storiche (futurismo, dada e surrealismo) e più tardi dalla Pop Art, il New Dada, dall’happening e dall’action painting americani e dalle ricerche di Gianfranco Baruchello, Alberto Grifi e Alfredo Leonardi. La sua formazione fu anche molto legata all’incontro con John Cage a New York e alla frequentazione romana di intellettuali, musicisti e artisti come Aldo Braibanti, il Gruppo 63, Sylvano Bussotti, Steve Lacy, Gastone Novelli, Jannis Kounellis. A 18 anni espone alla galleria Arco d’Alibert un tipo di pittura, colossale per dimensioni e ‘performativa’, che tendeva a sconfinare dalla tela allo spazio circostante investendo lo spettatore.
Ma l’incontro che segnò profondamente la sua vita artistica e sentimentale avvenne nel 1964 quando al Teatro Arlecchino di Roma vide Manuela Kustermann nei panni di Ofelia nell’Amleto di Carmelo Bene. Come spesso avrebbe poi detto, la passione per il teatro nacque per amore, per portare via l’attrice da Bene. Nel 1965 partì con Kustermann per un viaggio che determinò non poco la loro futura attività teatrale, anche perché ad Avignone strinsero amicizia con i membri del Living Theatre. Di ritorno a Roma, organizzarono diversi happenings, alcuni più intimi, come Il bando per Virulentia nella casa-studio di Nanni in via Margutta; altri furono eventi straordinari, 1966 Urbs Rosa – Monaco, e Carnevale di Rieti, 1967 24 ore no stop teatro alla libreria Feltrinelli e quello sul Tevere nel 1968 girato per la televisione tedesca, con l’intervento di pittori, musicisti, attori, poeti.
Dai problemi concreti, reali, quotidiani, vissuti come esperienze aggreganti, nasce il gruppo SPACE RE(v)ACTION che crea la prima sede stabile: il Teatro La Fede, a via Portuense 78, dove attorno a Nanni e alla Kustermann si forma un gruppo di lavoro che spazia tra teatro, cinema, danza e musica. Sono anni di grandi fermenti culturali e la Compagnia viene identificata come un punto di riferimento importante nella rivoluzione artistica di quegli anni. Dal loro lavoro, segnato da spettacoli significativi per l’immaginario giovanile e non solo, nascono produzioni storiche come A come Alice, Risveglio di Primavera, L’imperatore della Cina, che provocano la nascita di quel movimento teatrale che privilegia l’immagine alla parola e che verrà denominato “La scuola romana”. All’interno del gruppo nascono registi ed artisti come Memè Perlini, Giuliano Vasilicò, Pippo Di Marca, Valentino Orfeo, Massimo Fedele, Dominot, Alessandro Vagoni. Al Teatro la Fede passano artisti internazionali come Steve Lacy, John Cage, Gèrard Gelas, The Living Theatre.
L’atteggiamento anticonvenzionale e antiaccademico, inevitabilmente condizionato dal clima sessantottino, si allineava all’ondata del nuovo teatro europeo e americano di quel periodo con cui condivideva il bisogno impellente di uscire dai teatri istituzionali, ricercare un rapporto autentico con il pubblico nel tentativo «di cambiare la loro visione centrale in visione periferica» e rendere l’arte disponibile a tutti.
Desideroso di andare alla ricerca di spazi scenici nuovi, meno angusti, e di pubblici nuovi, non confinati ai soliti happy few, nella stagione 1972-73 accettò la collaborazione con il teatro Stabile di Roma, diretto da Franco Enriquez, e nel 1973-74 con lo Stabile genovese, diretto da Ivo Chiesa, ma i rapporti si ruppero poco dopo per le forti divergenze di idee. Nel 1973 con Il diavolo bianco di John Webster al teatro Olimpico di Vicenza si concluse l’esperienza del circolo La Fede, e nel 1974 si inaugurò con Artificiale/Naturale da Henri Michaux al Teatro in Trastevere una nuova fase, fonda la compagnia La Fabbrica dell’Attore, una delle prime cooperative di lavoro per artisti e maestranze.
Nei lavori successivi, che segnarono il passaggio dal lavoro di gruppo alla regia, Nanni si misurò con un tipo di drammaturgia diversa: Amleto di William Shakespeare (1975), I masnadieri di Friedrich Schiller (1976), Casa di bambola di Henrik Ibsen (1980), La regina Cristina di August Strindberg (1982), accanto al filone sperimentale, di cui Franziska di Frank Wedekind (1978) rappresentò l’esempio più riuscito.
Nel 1989 insieme a Manuela Kustermann acquistano un vecchio cinema in abbandono nel quartiere di Monteverde Vecchio a Roma e lo trasforma nel teatro Vascello, riconosciuto successivamente dal Ministero per i Beni Culturali quale Centro di Ricerca Teatrale, poi Teatro Stabile d’Innovazione, oggi Centro di Produzione Teatrale.
Il Teatro Il Vascello inaugura la nuova stagione de La Fabbrica dell’Attore il 4 maggio 1989 con un grande spettacolo internazionale Qui non ci torno più di Tadeusz Kantor e il suo Teatro Cricot di Varsavia, che indica la linea di tendenza di un nuovo teatro di sperimentazione e ricerca di linguaggi teatrali innovativi.
Tra le regie degli anni Novanta, accanto a Robert Musil, Ibsen, Shakespeare, Goldoni, Ludwig Tieck, Il gabbiano di Anton Čechov (1997) ebbe un particolare successo e nel 2000 fu portato a La Mama ETC di New York, dove già nel 1977 il regista era stato ospite. Estelle Parsons, allora direttore artistico dell’Actors Studio, visto lo spettacolo, chiamò Nanni a dirigere un acting workshop di 5 mesi (2001). La prima parte del lavoro si è svolta in aprile e maggio 2001, su MANY LOVES e il poema PATERSON di William Carlos Williams ed il montaggio del primo atto è stato presentato il 25 maggio, all’ACTOR STUDIO, Moderatore: HARVEY KEITEL.
Nel 2002 lo spettacolo arrivò in Giappone, dove l’anno dopo all’Università di Tokyo il regista tenne una masterclass con attori giapponesi. Negli ultimi anni collaborò, fra l’altro, con l’università La Sapienza, il Centro teatro ateneo, l’Accademia di belle arti di Roma e il DAMS di Roma III, dove condusse laboratori. Con Il giardino dei ciliegi di Čechov (2006) lasciò il suo testamento artistico e con Marx a Roma da Howard Zinn (2008) terminò la sua lunga e intensa carriera teatrale.
Intensa la sua attività per la promozione e lo sviluppo delle arti sceniche-performative, sempre alla ricerca di nuovi talenti, e allo sviluppo di nuove tendenze e linguaggi teatrali e multidisciplinari, realizza rassegna di teatro, cinema e danza. Dirige dal 2003 al 2005 il Teatro Comunale – Accademia degli Avvaloranti di Città della Pieve
Nel 2003 ha istituito il Premio Valentino Zeichen, rafforzando il proprio impegno anche sul versante della poesia, affiancandolo ad altre iniziative di promozione delle arti meno rappresentate, quali la videoarte, l’arte visiva, la performance.
Spesso autore delle scenografie e degli adattamenti dei suoi spettacoli, fu anche regista di opere liriche, per il cinema e la televisione.
Muore a Roma il 5 gennaio 2010, a causa di una grave malattia.