L’intrigata vita di Mia Martini, finemente narrata con uno spettacolo che fa onore al genere femminile, proprio a due giorni dalla giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne è stata portata in scena con lo spettacolo “Almeno tu nell’universo“, presentato nel nostro precedente articolo e a cui vi rimandiamo per altre notizie.
Trasferire le sensazioni vissute di uno spettacolo è il compito fortunato, piacevole e a volte ostico di chi, come me, ha l’incombenza di narrare l’accaduto di quello che è successo sul palco. Questo sarebbe semplice per descrivere lo spettacolo in questione, tre brave performer accompagnate da un ottimo pianista raccontano in musica e parole una delle tante storie difficili della vita di artisti. Sarebbe semplice, potrei farvi contenti elencando le canzoni eseguite e i temi trattati, la durata dello spettacolo, l’affluenza e la risposta del pubblico e, concludendo, potrei consigliarvi o meno di vedere lo spettacolo.
Beh! Non è così. “Almeno tu nell’universo“, omaggio a Mia Martini di e con Matilde Facheris, è una narrazione ideata e costruita egregiamente. Un incrocio di musica riarrangiata ed interpretata, alternata alla recitazione e la costruzione dei vari personaggi e delle varie voci, che va oltre la possibilità di descrivere il tutto con delle semplici parole, si perché le emozioni si vivono, a raccontarle si perde sempre qualcosina. Ma comunque è giusto che ci provi a descrivervi il susseguirsi delle vicende sullo splendido palco di uno dei teatri più signorili di Milano.
Una scenografia minimalista ma di gusto e di un eleganza sopraffina, adeguata alla gentil donna di cui si narra, da il benvenuto al pubblico che prende posto sulle storiche poltrone color porpora. Un pentagramma che si intreccia armonicamente sul palco, racchiude un possente pianoforte a coda nero, tre leggii, tre microfoni ed uno splendido lampadario ellissoidale con le note musicali che brillano nell’ancora spenta bocca scenica. Fin qui, tutto molto carino, ma nulla di inimmaginabile.
Quello che stupirà tutti i presenti comincia quando lo spettacolo prende vita e, sottovoce ed in maniera intima, introduce le tematiche cardini e violente della vita di Mia Martini, l’amatissimma Mimì, ma che all’anagrafe è stata registrata con il nome di Domenica Rita Adriana Berté.
Le tre artiste, in maniera conviviale e come se ci trovassimo in una sala lettura, una biblioteca o in un salotto artistico, cominciano ad introdurre il tema scottante del rapporto della cantante con il padre, delle vicissitudini giudiziarie e del carcere a cui la cantante ha dovuto sottostare per un tocchettino di hashish, l’amore e odio che Mia ha avuto con la sorella Loredana, dei suoi viaggi, delle sue lettere, dei suoi intimi pensieri e naturalmente di Ivano Fossati, autore di molte sue canzoni, compagno fondamentale di bellissimi progetti artistici e di una travagliata e profonda storia d’amore.
Matilde Facheris con Virginia Zini e Sandra Zoccolan intraprendono un viaggio di parole e note, iniziando con della sana autoironia sulle loro orgini e giocando sul fatto che nessuno che si trovava sul palco ha le stesse origini calabre della protagonista silente dello spettacolo.
L’accompagnamento ritmato, melodico e stravagante negli arrangiamenti al pianoforte del maestro Morcone Mell, dona un ritmo inedito ai successi più o meno popolari di Mimì e allo spettacolo.
Lo show si può definire stravagante, insolitamente melodico e a tratti audace, soprattutto negli “sfoghi” attoriali tenuti e necessari alle performer affinché la scena rimanga sempre originale, sincronizzata tra gli artisti e senza dubbio intensa, anche nei momenti divertenti, probabilmente, nati durante le prove e tenuti buoni per lo spettacolo offerto al pubblico.
Da non dimenticare lo zampino fondamentale della consulenza drammaturgica di Giulia Tollis e la manuale fantasia alle scene e ai costumi di Maria Paola Di Francesco.
Uno dei momenti più intensi dello spettacolo è stato quando dal palco si sono levate le note di “Volesse il cielo”, la Canzone è di Vinicius De Moraes, nella traduzione di Sergio Bardotti ed è interpretata da Mia Martini.
Sul palco del Manzoni hanno riscritto una pagina di questa canzone e mi sembra un commovente e sintetico canto di pace, in omaggio ad una delle voci più deliziose del panorama nazionale.