Lo spettacolo We Will Rock You, tanto atteso a Milano, ha debuttato ieri sera 2 febbario 2023 al Teatro Nazionale Che Banca! dove replicherà fino al 12 febbraio.
Per altre notizie sullo spettacolo vedi il nostro articolo di presentazione.
La trama è presto detta: siamo in un futuro apocalittico e distopico in cui gli strumento musicali, la composizione, la lingua inglese, le relazioni personali sono bandite, facendo spazio a suoni e attività creati da algoritmi guidati da una multinazionale. Tutti i giovani sono omologati davanti a dispositivi mobile, si vestono uguali e parlano allo stesso modo, quindi sostanzialmente siamo ai giorni d’oggi, non nel futuro.
La storia dello spettacolo è debole e poco originale (basti pensare a George Orwell) e non riesce a coinvolgere lo spettatore come ci si aspetterebbe da una grande “opera rock”. I dialoghi sono quasi destrutturati, oscillando tra il comico e romantico, risultando però poco convincenti in entrambi i casi. Anche l’amore tra i due protagonisti che fa da sfondo al musical non è sviluppato realisticamente e di fatto i due si dichiarano amore da una scena all’altra inaspettatamente.
A mio avviso, quello che stona è il fatto di riportare il testo con riferimenti a canzoni e fatti degli ultimi mesi e anni, soprattutto citazioni musicali, ambientando però la storia al 2 febbraio 2323, che ti fa pensare: perché tra trecento anni dovremmo ricordare proprio “con le mani CIAO CIAO”?
Questo crea un piccolo cortocircuito per cui una storia ambientata nel futuro risulta paradossalmente troppo attuale, perdendo di credibilità e di significato. Il testo risulta così indebolito, poiché è fatto di citazioni di testi musicali con l’aggiunta di qualche dialogo tra protagonisti a volte poco comprensibili. I personaggi Bohemiens, come vengono chiamati i ribelli della società, che vanno fuori di schemi risultano come al solito ghettizzati e bullizzati. Se il futuro rappresentato dallo spettacolo è così simile al nostro presente, speriamo che ci sia presto un cambio di rotta. La vicenda della coppia che scappa dalla massa per arrivare al gruppo di rivoluzionari per poi omologarsi a loro è un po’ antitetico rispetto al desiderio tanto espresso di libertà ed emancipazione. Il finale non rende giustizia ad una storia già abbastanza fiacca, trasformando il secondo atto in un susseguirsi di canzoni come se stessimo assistendo ad un concerto.
Viene maldestramente appiattita anche la psicologia dei personaggi rappresentando sempre lo stesso schema: l’uomo è salvatore, la donna è eroina secondaria o se la donna è potente è cattiva. Il tentativo di aggiungere qualche accenno di femminismo non risulta gradevole ed è anch’esso stereotipato.
La protagonista è sicuramente l’autocelebrazione dei Queen: “Bohemian Rhapsody”, “We Are The Champions” e “Radio Ga Ga” sono alcuni dei brani iconici che hanno segnato uomini e donne di tutte le età. Gli arrangiamenti sono semplificati e di conseguenza meno potenti, ma forse questo è stato voluto per poter permettere agli attori-cantanti di poter dimostrare tutto il loro talento. La scenografia è praticamente statica, con pochi cambiamenti tra i vari atti mentre le luci riescono a creare diverse atmosfere.
Tre gli aspetti grandiosi di questo spettacolo su cui si potrebbe investire di più: il cast di straordinaria bravura (Scaramouche: Martha Rossi, Galieleo: Damiano Borgi, Killer Queen: Natascia Fonzetti per citarne qualcuno), le coreografie semplici ma coinvolgenti e la magnifica band che suonava dal vivo, venuta allo scoperto troppo tardi. Vero atto di grande futurismo è l’assolo della chitarrista Roberta Raschellà che ci ha regalato momenti da brividi!
Se penso al 2 febbraio dell’anno 2323, lo immagino sicuramente così: vero rock donna!