Recensione de ‘La Madre di Eva’  in scena al Teatro  Franco Parenti di Milano fino al 5 maggio

Lo spettacolo “La Madre di Eva“, co-prodotto da Stage Entertainment, Ora One Production ed  Enfiteatro, presentato nella passata stagione da Stage Entertainment e andato in scena, in prima nazionale, al teatro Lirico di Milano,  dopo aver raccolto applausi  a Milano ed ottenuto un notevole successo di pubblico e critica in varie città italiane,  è tornato nella città meneghina per andare in scena al Teatro Franco Parenti, dove ha debuttato il 30 aprile 2024 in Sala Grande, gremitissima di un pubblico trasversale di ogni età.


Lo spettacolo è stato introdotto, eccezionalmente, da Andrée Ruth Shammah, l’eclettica direttrice artistica dello stesso teatro, nonché attrice e fine regista, proprio a significare la profondità di questo testo.

Altre notizie sullo spettacolo è possibile leggerle sul nostro articolo di presentazione.

LO SPETTACOLO
La Madre di Eva” è basato sul romanzo omonimo di Silvia Ferreri, finalista al premio Strega nel 2018,  è portato in scena, mirabilmente, dalla talentuosa Stefania Rocca nel doppio ruolo di intrerprete e regista.

LA TRAMA
La trama si concentra sulla storia di un ragazzo intrappolato in un corpo femminile (EVA) e desideroso di intraprendere un percorso di transizione per trovare la sua autentica identità, che riesce ad ottenere con un intervento chirurgico effettuato a Belgrado, dopo una serie di ostacoli iniziati nella famiglia e proseguiti anche a livello legale con una giustizia non ancora pronta a recepire queste necessità che per secoli sono state tabù e rigettate, talvolta con violenza, da una società bigotta e tuttora non completamente pronta.

LA REGIA
La regia di Stefania Rocca, che interpreta anche uno dei ruoli principali, si distingue per la sua capacità di mescolare diversi linguaggi artistici, dalla recitazione alla tecnologia, per trasmettere al pubblico le complesse sfaccettature dell’esperienza umana. La sua attenta regia aggiunge profondità e complessità alla narrazione, esplorando le sfumature del conflitto generazionale e culturale che caratterizzano il rapporto tra genitori e figli. I cambi scena avvengono grazie a sipari che si chiudono solo a metà permettendo al racconto di proseguire, con un effetto quasi cinematografico, senza interrompere la carica emotiva che si viene a creare.

IL CAST
Il cast, guidato dalla presenza magnetica di Rocca, mel ruolo della madre di Eva,  offre interpretazioni coinvolgenti e intense.  Stefania Rocca, con la sua forte presenza scenica, ancor di più  che con la sua fama di attrice, occupa il palcoscenico e tutto ruota intorno a lei che racconta. Accanto a Rocca (alternandosi nelle repliche), Bryan Ceotto/Simon Sisti Aymone*.

Completano il  quadro scenico uno stuolo di personaggi nel ruolo del padre, il nonno di Alessandro,  la psicologa, il chirurgo, l’avvocato ed altri, interpretati da  talentuosi attori: Maeva Guastoni, Francesco Colella, Diego Casale, Vladimir Aleksic, Selene Demaria, Emanuele Fortunati, Silvia Fondrieschi, Vanna Tino, Beatrice Baldaccini, Alessia Rosato, Nadia Scherani, Vittoria Todeschini.  Quasi tutti, nonostante abbiano tratti ben definiti, non sono fisicamente sul palco e dialogano con i ricordi della madre, apparendo in scena solo attraverso ologrammi proiettati su teli invisibili ipertecnolgici.

L’attore  e giovane transgender *Simon Sisti Aymone,  in scena al debutto del 30 aprile, con la sua interpretazione del personaggio di Eva/Alessandro è stato travolgente e commovente. Con una presenza scenica intensa e una gamma emotiva sorprendente, Simon ha catturato l’attenzione del pubblico fin dalle prime battute. La sua capacità di trasmettere la lotta interiore del protagonista e di esplorare le complesse sfumature del processo di transizione di genere ha reso la sua performance encomiabile.

LA RECENSIONE
“La Madre di Eva” si propone di arricchire il dibattito sull’identità di genere, offrendo al contempo un’esperienza teatrale coinvolgente e stimolante. Rocca, nella sua prima regia teatrale, sfida il pubblico a confrontarsi con temi delicati e attuali. Attraverso il dramma dei personaggi, lo spettacolo invita il pubblico a riflettere sulle proprie convinzioni e ad abbracciare la diversità con compassione e comprensione.

In un momento in cui le questioni legate all’identità di genere sono al centro dell’attenzione pubblica, “La Madre di Eva” si distingue per il suo approccio empatico e rispettoso. Rocca e il suo talentuoso team artistico ci guidano attraverso un viaggio emotivo e intellettuale, invitandoci a esplorare il significato più profondo dell’amore e della famiglia.

Sempre più spesso sentiamo parlare con superficialità di gender, transgender, fluidità di genere, con affermazioni che suonano come sentenze: “è di moda”, “è immorale, “è contronatura”, “è il ritorno di Sodoma e Gomorra”.

Tutto è opinabile, ma tutto va attentamente valutato alla luce di studi scientifici, ma soprattutto col cuore. Nel caso scenico in esame, come in tanti altri casi reali, si tocca il dolore di un figlio/a, chiuso  e costrettto “in una prigione di genere” a cui non si sente appartenere. Per questo non si può rimanere spettatori passivi ed egocentrici, ma come persone, genitori, donne, uomini, bisogna prendere posizione contro quella che sembra, e forse lo è,  una forma di violenza in una bolla surreale. Dalla parte di Eva o di Alessandro di Eva e non più Eva, figlio e non più figlia?

Il testo, molto realisticamente, ci fa vedere come tutti  sono contro la madre:  la zia, il nonno, gli amici che vorrebbero questa “devianza” venga ricorretta, curata, come se Eva fosse affetta da una malattia curabile.

Qualcuno può obiettare che ognuno dispone come vuole della propria vita, ma chi può dire a una madre che la vita di un figlio non le appartiene, non è forse lei che lo ha gestito in grembo per nove mesi e poi accudirlo?

Ma questa madre lotta con se stessa, si  tormenta nell’attesa con pensieri vorticosi, viene assalita da sensi di colpa,  si  interroga, senza darsi risposte, chiedendosi: è stato il destino , la  genetica o una stregoneria, ricordando un gesto di una persona che le aveva toccato la sua pancia durante la gravidanza? O ancora, è stata l’invidia di tutte le amiche o pseudo tali, che la consideravano sterile e la deridevano?

Ora questa madre è sola nella sala d’attesa di un ospedale estero, mentre la sua creatura è in camera operatoria per affrontare un delicato intervento chirurgico che le farà fare il grande salto nell’identità di genere. La madre col cuore, ma forse non ancora con la ragione, aspetta di incontrare colui che era Eva e che sarà Alessandro, nome scelto per emulare il coraggio e la forza di Alessandro Magno, come a significare la resilienza agli ostacoli posti dal carattere forte e opponente della madre.

Il presente e il passato e anche il futuro si inseguono, attraverso dei flashback in un emozionate e vertiginoso turbinio di sentimenti: dal suo desiderio di essere madre, alla derisione delle amiche, dal pensiero che la sua creatura, amata, coccolata, cresciuta e  ora apparentemente persa.

Non sono da trascurare e meritano di essere menzionate le musiche di Luca Maria Baldini, che intervengono dal vivo, incisive e profonde per accompagnare le scene e dare alla storia un’ulteriore spinta emotiva, ora smorzando, ora alzando la tensione che si crea allo scorrere degli eventi sulla scena.

Lo spettacolo si inserisce in un contesto teatrale più ampio che affronta temi sociali e psicologici complessi, come evidenziato da altre produzioni  tra cui  “Chi come me” ancora in scena sempre al Parenti  che parla dei disagi psicologici degli adolescenti e in uno di questi affronta il tema della disforia di genere. Anche lì sono temi forti, che toccano le corde del cuore, dimostrando quanto nel teatro contemporaneo sia  rilevante e vitale l’impegno artistico nel sollevare questioni delicate e stimolare la riflessione critica costruttiva.

“La Madre di Eva”, applauditissimo alla prima rappresentazione del Teatro Franco Parenti, è uno spettacolo imperdibile sarà, in scena fino al 5 maggio 2024 per chiunque sia interessato a esplorare le profondità dell’animo umano e a confrontarsi con le sfide della società contemporanea.

Lo consigliano solo ad un pubblico pronto e preparato o comunque aperto a ricevere un’impronta duratura nel cuore e nella mente.