L’ “Amleto” di Shakespeare, come già accaduto per altre sue opere, per la regia e la partecipazione nel ruolo dello stesso Amleto, di Corrado D’Elia, è una straordinaria rappresentazione di un testo classico, che non perde alcun dettaglio sia della trama che della profondità dei personaggi.
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LA TRAMA
La storia è nota a tutti, essendo materia di studio nelle scuole secondarie: il fantasma del defunto re appare ad Amleto, suo figlio, e gli chiede di essere vendicato; ad ucciderlo è stato il fratello Claudio che si è ora appropriato del trono e della sua vedova Gertrude.
Il principe vuole una prova concreta della colpevolezza dello zio e decide di ritardare il momento della vendetta. La certezza di tale colpa gli arriva quando, durante uno spettacolo teatrale, mette in scena l’omicidio del defunto re e Claudio, indignato e al contempo impaurito, si ritira.
Recandosi a parlare con la madre per giustificare il proprio comportamento, Amleto uccide per errore Polonio, consigliere del nuovo re e padre di Ofelia (amata dallo stesso Amleto) e Laerte. Quest’ultimo, tornato in Danimarca non appena appresa la notizia, dichiara Amleto colpevole della morte del padre e della sorella. Ofelia infatti, si è suicidata perché Amleto aveva rinnegato i suoi sentimenti. Sfida a duello Amleto e, in accordo con Claudio, cosparge la punta della propria spada di una sostanza letale e avvelena anche la coppa dove Amleto dovrà bere in caso di vittoria. In una serie di casuali eventi, però, è la madre Gertrude a bere dalla coppa avvelenata e la letale spada colpisce entrambi i duellanti; prima di morire, Amleto riesce però a uccidere Claudio e a chiedere all’amico Orazio di raccontare di lui e della sua causa, di non dimenticare!
LA RECENSIONE
Una vera e propria tragedia… Tutte le “schegge” di questo dramma avvengono nello stesso ambiente, carico di luci e musiche dal forte impatto emotivo (grazie a Francesca Brancaccio per le luci, a Fabrizio Palla per le scene, a Matteo Gobbi per l’audio); a ogni impennata di suoni e di flash, corrisponde un momento topico, qualcosa da ricordare, anche oltre la mente di Orazio, superando i limiti dell’immaginario e della realtà dei fatti. Un ambiente più luminoso o più scuro, più definito o più sfuggente, ma sempre lo stesso, riempito, a ogni esperienza da frammenti storici, prelevati da un archivio nascosto.
E’ il luogo della memoria, del ricordo, del racconto e del vissuto. La scelta precisa e dettagliata di far scrivere gli attori sulle pareti rievoca il famoso “Verba volant, scripta manent”: è incisivo, ripetuto in modo quasi ossessivo… parole che non voleranno via, ma rimarranno a conferma di ciò che quelle quattro mura hanno visto e sentito. Sì, perché i ricordi, man mano che il tempo passa, perdono la loro nitidezza, si vestono di pensieri e rielaborazioni personali. Capita anche a Orazio: la sua mente lancia input di vicende e persone… sono luci nel buio, suoni improvvisi, attori che arrivano da ciò che sembra il nulla. E poi, un misurato collage che unisce tutti i dettagli. Li rende omogenei e connessi tra loro. E’ arte e tecnica, creatività e costruzione di veicoli verbali e non…
Un cast sinergico in evoluzione. Oltre a Corrado D’Elia, Chiara Salvucci, Angelo Zampieri, Raffaella Boscolo, Filippo Lai, Gianni Quillico, Marco Brambilla, Giovanni Carretti e Marco Rodio, formano un treno in corsa. A ogni fermata, uno spot narrativo, una inquadratura, su modello cinematografico sull’interazione di Amleto sempre più concitato e uno dei personaggi.
Ciascuno di loro è presentato da come appare: feroce, viscido, dolce o costrito. E’ proprio vero che, in alcuni casi, l’abito fa il monaco: i due fratelli Ofelia e Laerte nella loro semplice tenuta t-shirt e jeans esprimono genuinità e trasparenza; Claudio e il re morto, avvolti nel mantello di velluto rosso, danno risalto alla loro autorità e la “loro” moglie Gertrude, giorno e notte in abito seducente apre quegli angoli di sessualità condivisa e cercata in molti momenti del quotidiano. E Amleto?
Nel suo nero presentarsi, a volte incappucciato, è sfuggente; è impazzito o finge di esserlo? E’ innamorato di Ofelia? E allora perché le dice di andare in convento con un tono diretto e propulsivo verso la ragazza che si toglierà la vita? Si rinchiude negli spazi angusti, si raggomitola su se stesso per stringere a sé la sua anima contrita, pronta per la vendetta. E poi salta urlando a voler catturare ciò che gli sfugge di mano. “Essere o non essere, questo è il problema”. Amleto si interroga se sia meglio vivere soffrendo (essere) o ribellarsi rischiando di morire (non essere).
E questo da un senso alla geniale “vetrata necrofora”: un catalogo, a flash… ogni scatto riproduce i morti della tragedia, sempre aggiungendo l’ultimo a mancare. Il numero aumenta: è uno sterminio che solo Orazio superstite potrà raccontare perché è la condivisione che salva i ricordi e li tiene vicini; non lascia la mano di chi non c’è più, non perde parti della storia e non vacilla annegando nei pensieri.
Spettacolo da vedere per una rivisitazione di un’opera classica, sempre vivibile, soprattutto se accompagnati in un viaggio emozionale come Corrado D’Elia e la sua compagnia hanno saputo fare.