Scannasurice, dal 14 al 19 maggio al Piccolo Teatro Grassi, è il testo che nel 1982 segnò il debutto di Enzo Moscato come autore e interprete, diventando ben presto un classico del teatro contemporaneo italiano. Viene riproposto a distanza di trentasei anni dal primo allestimento con l’attenta e rigorosa regia di Carlo Cerciello.
In scena una straordinaria Imma Villa che, grazie a questa interpretazione, ha conseguito numerosi riconoscimenti tra cui il Premio Le Maschere nel 2017.
Scannasurice, nella pluripremiata interpretazione di Imma Villa, è una ‘misteriosofica’ discesa agli Inferi che attraversa la ferita della napoletanità. Così lo definisce l’autore Enzo Moscato e così lo intende e restituisce il regista Carlo Cerciello nel riproporre, a distanza di trentasei anni dal primo allestimento, la messa in scena accurata e rigorosa di un grande classico del teatro contemporaneo italiano prodotta da Elledieffe e dal Teatro Elicantropo.
Il titolo, letteralmente scanna topi, fa riferimento a un vecchio fondaco partenopeo nel labirinto dei Quartieri Spagnoli e, più precisamente, a quei tuguri che anticamente gli artigiani usavano bonificare dai ratti a colpi di spadone. L’azione narrata si sviluppa in una di queste squallide stamberghe. Racconta un terremoto metaforico, la perdita di futuro seguita al sisma del 1980, ma anche quello esistenziale che attraversa il protagonista. Scannasurice è, infatti, anche il nome del personaggio principale, un femminiello dei Quartieri Spagnoli, che fa la vita, ‘batte’. Vive in una stamberga, piena di cianfrusaglie e immondizia e parla con i topi con cui ha un rapporto di amore e odio. Senza un’identità sessuale, metafora di incompletezza e inadeguatezza, “creature mitologiche, quasi magiche” come solo i femminielli di Moscato sanno essere. In una lingua napoletana lirica e suggestiva, la creatura a metà tra l’osceno e il sublime, distilla imprecazioni esilaranti, filastrocche popolari e antiche memorie in un’affascinante alternanza di ritmi e sonorità. Considerato rivoluzionario nella drammaturgia contemporanea napoletana, Scannasurice avvia il fondamentale discorso sulla lingua che caratterizza il teatro di Enzo Moscato ed è tra i testi che hanno segnato l’inizio della nuova drammaturgia del dopo-Eduardo. Una lingua colta e allusiva che, nelle sue originali costruzioni sintattiche e semantiche, si rende strumento evidente di una radicale frattura rispetto alla tradizione, letteraria, teatrale e scenica.
Misteriosofico-plebeo poema sulla mia discesa agli Inferi di Napoli (i bassi, gli ipogei), appena secondo, in senso cronologico tra i testi da me pensati per il teatro, eppure possedente già, “in nuce”, se non di fatto, gran parte della malattia anti-tradizionale, gran parte di quell'”es-tradizione” dalle mie proprie radici, che avrei espresso pienamente dopo, in altri ed insoliti esiti drammatici. Già il titolo del lavoro, (…) si attestava altrove, in un polemico rifiuto a non volermi allineare, a non cercare di nascondermi (pur’io!), all’indomani del tremendo ma, per tanti versi, già annunciato, sconquasso del terremoto dеll’80, la lucida е irrimediabile visione del massacro, dell’eccidio, lo sterminio, non tanto di persone o case, quanto di idee, emozioni, sentimenti, che tra alti e bassi, per tanti secoli, aveva costituito l’anima genuina, il “modus agendi et cogitandi” del popolo e della città di Napoli (…). Ecco, io con Sсannasùriсe (…) vedevo е percepivo le ferite, le faglie, le fratture dei nostri animi con lo stato precedente della vita e la cultura a Napoli.
Enzo Moscato